Non so se la cosa sia reciproca, ma la mia personale capacità di esercitare pazienza ha raggiunto limiti notevoli in questo confrontarsi.
Più torno ad invitarti a cercare di evitare "trappole di posizione", a provare a metterti - mentre rispondi - nei panni degli altri, a fare un esperimento mentale di "what if" assumendo che, per assurdo, quel che credi di sapere non sia "vero" per vedere che succede, più sembri far appello al tuo portato filosofico, etico e religioso (che, solo in quanto tale, non ha necessariamente a che vedere con la logica necessaria a supportare quanto via via affermi), dimenticando all'apparenza circa settant'anni di ricerche e progressi in campo biologico, clinico ed evoluzionistico. Vabbe', c'aggia fa?
stereosound ha scritto:E chi ha mai parlato di psicologia della percezione!
Io: io te l'ho chiesto, se fosse quello il caso. Ed è una domanda - in quanto tale - legittima, e vieppiù legittimata dal fatto che continui a porre all'attenzione degli altri non ipotesi ma postulati (apparentemente figli del tuo portato filosofico, etico e religioso).
stereosound ha scritto:Il mio intento è cercare di valutare il "come" opera la percezione nell'essere umano
Però solamente nel quadro delle tue pre-esistenti convinzioni, non chiarendo (a noi) lo stesso alla luce della logica.
Esempio facile-facile (visto che non sono stato in grado di rinvenire chiarimenti in merito): nel messaggio precedente hai affermato «
L'attitudine alla operatività viene considerata comunemente come biologica,le operazioni specifiche coordinate dall'attenzione sono di tipo mentale. Il legame biologico-mentale (feedback),pur esulando,almeno credo, dal contesto della trattazione,andrebbe a coinvolgere il campo delle neuroscienze.».
In questa frase hai affermato una "attitudine all'operatività", ma senza definire cosa sia (che l'uomo "funziona" e non è viceversa morto? Io non lo so), l'hai attribuita alla sfera biologica appellandoti ad una conoscenza condivisa (comune, ma che essendo ignota non si sa se lo sia), e siamo già a due cose date per scontate e la cui rilevanza non è stata chiarita; hai indi affermato che il legame biologico-mentale *è* il (solo) feedback, mentre si pensa che ne esistano vari (anche quello fisico-fisico e mentale-mentale), ed infine con apparentemente solenne noncuranza hai deciso che tale legame "esula dalla trattazione" (una trattazione sul come opera la percezione nell'essere umano che esclude la rilevanza di un eventuale feedback tra fisiologia e stati mentali dell'essere umano, andiamo bene quanto ad evidenza nell'applicazione della logica), e semmai che nel caso appartiene al campo delle neuroscienze, conclusione ultima che, o non ha alcuna rilevanza, oppure, se nelle tue intenzioni ce l'aveva (stante l'uso del condizionale), sta a significare che "una trattazione su come opera la percezione" non è argomento che può o deve interessare le neuroscienze, o che sia affetto dalle risultanze delle ricerche in materia di neuroscienze (e dunque resterebbe essenzialmente la psicologia in campo: what else?). Il che, se permetti, è una congettura tutta tua, al momento, che andrebbe al limite spiegata (a partire forse dalla tua propria concezione di neuroscienze).
stereosound ha scritto:...in questo specifico caso è inerente a "definire",se possibile,quella relativa alle fenomenologie fisiche attinenti al sonoro(come sintesi). La trattazione,così mi pare sia giusto chiamarla,riguarda solo questo argomento.
Bene: il tuo intento è definire la percezione relativa alle fenomenologie fisiche attinenti al sonoro, però (precisi) solo come sintesi psicologica di verosimiglianza (che tu e solo tu sai già che è quella e non altro), ed escludendo tutto ciò che riguarda l'interazione tra fisiologia e stati mentali perché quello riguarderebbe le neuroscienze che esulano dalla percezione e da ciò che ti pare giusto chiamare trattazione (ma allora parrebbe più funzionale scrivere da te medesimo un trattato, piuttosto che aprire un thread pubblico di discussione): ho capito male il tuo intento?
stereosound ha scritto:Quella che definisci "differenza"
Non ti confondere, io non ho definito alcuna "differenza": ti ho chiesto di illustrare che differenza faccia l'attenzione nel processo.
stereosound ha scritto:non è una scelta possibile dell'operare nella attuazione della capacità attenzionale ...l'attenzione funziona proprio così : è intermittente con una frequenza variabile e le pause sono necessarie per i motivi
già esposti. La percezione senza attivazione non può esistere!
Perché? O ancora meglio, se l'attenzione c'è sempre, se vanno di pari passo, a che pro distinguere tra una attivazione della percezione e la percezione stessa?
Quali informazioni (per noi) tale separazione reca con sé? Hai mai sentito qualcuno qui parlare di attivazione oltre te? Evidentemente è qualcosa che in questa sede va prima introdotta e poi spiegata, giustificata, tale necessaria ed utile separazione (sai quella cosa che si chiama ragionamento deduttivo che tutti abbiamo abbastanza evitato finora). Ad uno studente non posso limitarmi a dire che il rapporto tra diametro e circonferenza vale pigreco qualunque sia il cerchio, perché è necessario un teorema per dimostrare la verità di tale asserzione.
stereosound ha scritto:Il "SUONO" non esiste senza l'attenzione (consapevole o no) che si applica all'apparato uditivo al fine di ricevere ed elaborarne ,quindi,la percezione! Senza l'osservatore il suono non esiste come tale! Quello che esiste è solo una fenomenologia "fisica"...lo potresti negare?,se si con quale argomentazione!?
Per chiedere di mettere in discussione la necessarietà dell'attenzione basterebbe il fatto che la stragrande maggioranza degli stati mentali, anche quelli legati all'intenzione, sono inconsci, ma lasciamo l'argomento per cose più sostanziose.
E` appena il caso di notare che (forse per foga?) poni domande in aperta contraddizione con le parole che hai di fronte: al mio «
il suono esiste... basta che ci sia *tu*» tu contrapponi il tuo «
Senza l'osservatore il suono non esiste...lo potresti negare?» (sembra un esercizio retorico da "Totò e Peppino", ovvero dell'arte dei pazzi).
Supponendo che l'inciampo di cui sopra sia un semplice tuo lapsus, torno all'attenzione.
Se io sto dormendo e scoppia un tuono, mi sveglio di soprassalto e dico (dopo un attimo magari, e con voce impastata): "Toh, è scoppiato un tuono".
Secondo il tuo schema la sonda ha risvegliato la mia attenzione ed io ho percepito un tuono. E` corretto?
Se sto sveglio, con sguardo vacuo, e scoppia un tuono, mi gratto in naso e torno a dire: "Toh, è scoppiato un tuono".
Secondo il tuo schema forse la sonda ha risvegliato la mia attenzione, forse il contrario, ed io ho percepito un tuono. E` corretto?
Se sto osservando i fenomeni atmosferici in corso mentre piove e scoppia un tuono, ancora dico: "Toh, è scoppiato un tuono".
Secondo il tuo schema la mia attenzione ha attivato una sonda ed io ho percepito il tuono. E` corretto?
Ci sono altri casi da considerare? Nel frattempo che me li indichi, ho detto mai qualcosa di diverso da "Toh, è scoppiato un tuono" (ed è questa la tua famosa "sintesi"?)? Ho in tutti e tre i casi "percepito" qualcosa? Si può dire che nei tre casi ho mai percepito qualcosa di "diverso"? Posso (puoi, possiamo) asserire che ho sentito una volta un peto, una volta un elefante, ed una volta un tuono?
Dunque, per tirare le somme di questa roboante "argomentazione", d'acchito sembrerebbe che non sia poi di evidenza tanto palmare il benedetto ruolo giocato dall'attenzione (che tanto ti pare cara): a meno che tu non cerchi di definirlo, esplicitarlo diversamente a beneficio di chi ti legge.
Le uniche cose sicuramente comuni alle tre percezioni (se si tratta di tre percezioni) erano la presenza del mio sistema orecchio-cervello e la presenza delle onde di pressione del tuono.
stereosound ha scritto:Anch'io non capisco cosa tu voglia intendere effettivamente quando parli di meccanismi di feedback non invarianti ?
E ti faceva tanta fatica chiederlo direttamente, quando qualcosa ti turba? A vari livelli un po' tutta l'attività biologica e mentale del cervello presenta il fenomeno della non invarianza rispetto al tempo.
Un caso piuttosto esaminato in letteratura (Brass, Desmurget, Haggard, Kuhn, et c.) riguarda proprio l'intenzione di fare qualcosa. Se io voglio sollevare un oggetto e dartelo in testa con violenza, la decisione verrà presa a livello inconscio diversi secondi prima che io dica alla mia mano "solleva questa costosa 300B WE del 1952 e sfasciala in testa a stereosound". Dopo questi secondi una parte del mio cervello "mi" renderà cosciente della mia decisione (in realtà già presa a livello incosciente), desidererò colpirti, mi renderò conto che voglio colpirti. Frazioni dopo questa presa di coscienza o desiderio, il mio cervello comanderà un complesso movimento multi-articolare volto a prendere in mano la preziosa reliquia, sollevarla ad altezza giusta, e frantumarla con violenza sul tuo cranio (o, se te ne accorgi, schivi e colpisco la spalla). Dopo questa attività mentale, un segnale inibitorio mi impedirà di compiere una tale "scempiaggine" (distruggere il prezioso reperto, contando anche il fatto che cento grammi circa di bachelite, ossidi e nichel non possono arrecare nemmeno troppo danno alla tua testa o alla tua spalla), attraverso un comando contrario alle aree di controllo premotorio, ed il risultato è che tutto ciò non è mai accaduto, o meglio, non accade, neanche a livello della mia coscienza: il mio "sé" non sarà mai in grado di ricordare di aver messo mano all'arma e di esser stato fermato (sempre da un altro mio "sé", peraltro), al più ricorderà un moto di rabbia, o forse un atto simulatorio (tu lo sai che c'è anche attività cognitiva che procede anche attraverso simulazioni mentali?).
A parte lo sciocco divertissement messo in piedi anche per via delle difficoltà di comprensione reciproca, le differenze soggettive tra gli individui nell'attivazione della struttura di autocontrollo sono correlate alla frequenza delle azioni inibitorie, e suggeriscono (agli autori degli studi, che ce lo riportano) che questo sia un esempio di elaborazione "top-down", in cui uno stato mentale influenza il successivo (definizione di non invarianza temporale).
Un altro esempio riguarda i già citati esperimenti di prime-target percettivi, o anche si può citare l'influenza della cultura e dell'ambiente sociale: messi di fronte alla "stessa realtà" (per es. un disegno) un americano nato e cresciuto a Kyoto da matrimonio misto percepisce cose diverse da quelle che percepisce un suo omologo nato e cresciuto ad Oakland, ed i loro cervelli risulteranno pure - corrispondentemente - funzionalmente diversi nell'eseguire tale attività (osservare, percepire il disegno).
stereosound ha scritto:Prima di rispondere vorrei tu mi spiegassi,per meglio capire, come è possibile assimilare un essere umano,con una sua personalità ed unicità di esperienza di vita,ad un "sistema"!?
E se è così,chi lo dice che sia giusto farlo e perché!?
Ok, definiscimi "sistema" (dammi la la tua concezione di), ed io rispondo, se sono in grado.
(Non sto evitando/procrastinando, è che la tua richiesta non c'entra nulla con la mia domanda diretta - "
che significa «attingere i ricordi indipendentemente dal tempo»?" - e così, invece di aver ottenuto una risposta alla stessa, mi ritrovo con una seconda tua nozione che abbisogna di una tua definizione, e che è apparentemente pure scorrelata).
stereosound ha scritto:Anche qui non ci siamo! ciò che è già avvenuto,che erroneamente definisci percezione,è solo il fatto traumatico in sé (che richiama subitamente l'attenzione, se chi percepisce è cosciente),la vera percezione (come sintesi) si ha solo dopo, quando l'attenzione ha richiamato l'attività percettiva sul fenomeno che è stato elaborato e reso palese.
Uhm, proviamo diversamente: e quale sarebbe, di grazia, la percezione?
stereosound ha scritto:Tornando alla molteplicità delle "percezioni"si può affermare che essa rappresenta ,praticamente, una norma(ridondanza piacevole) nell'ascolto della musica ( come sintesi musicale),tanto per rimanere in tema.
Questa chiosa finale forse te la potevi risparmiare: o è necessaria, e cerchi di illustrare, circostanziare tale necessità (non per giustificare te stesso, ma per far capire a chi ti ascolta o legge), oppure non serve richiedere la molteplicità.
Tertium non datur.
Bene, ho fatto sin troppa fatica ad arrivare fino a qui, e si vede: à la prochaine...