Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

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plovati
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da plovati »

E va beh, allora beccatevi questo :

http://www.music.princeton.edu/~dmitri/
_________
Piergiorgio
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UnixMan
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da UnixMan »

Luc1gnol0 ha scritto:
UnixMan ha scritto:Ma se la percezione fosse "completamente" tempo-variante, sarebbe completamente scorrelata dal campo acustico. Il che implicherebbe però che la percezione dovrebbe essere assolutamente casuale rispetto al campo acustico, cioè completamente indipendente da esso! Cosa che è evidentemente falsa.

I termini della questione vanno precisati, rispetto a quanto vai scrivendo.

Un conto è parlare di percezione dei suoni tout court.
beh, mi pare che al momento di quello stessimo parlando. Non mettiamo troppa carne al fuoco, altrimenti non ne usciamo più. :?:
Luc1gnol0 ha scritto:Un altro, più limitato, e secondo il cd. metodo Moss qualitativamente diverso conto è parlare di percezione dei cd. "suoni musicali" (musica, pre-registrata, poi riprodotta, et c.).
ecco, questa dei cd. "suoni musicali" è la prima cosa che non ho ancora capito... che *****^H^H^H^H^H cos'è un "suono musicale"? che vuol dire? percettivamente parlando, che differenza fa se sto ascoltando musica "live" o riprodotta piuttosto che un cane che abbaia? certo cambiano le reazioni cognitive e/o emotive che ne derivano, ma i meccanismi "di più basso livello" deputati alla percezione del suono non sono sempre gli stessi?
Luc1gnol0 ha scritto:Secondo me la questione non sarebbe da affrontare in certi termini, ma viste alcune conseguenze che ti sembra di inferirne, vediamo il caso più generale che poni: la percezione è possibile che sia scorrelata dal campo acustico?

Con certezza quasi assoluta, no: come un po' credo tu sappia, per quel che si conosce la natura sostanzialmente stocastica della percezione/trasmissione nervosa fa si che nei centri corticali vadano a formarsi delle strutture, appunto, statisticamente più probabili rappresentative del percepito ("il grande mondo laggiù").

Ci si può chiedere se queste strutture possano essere sempre le stesse per tutti gli esseri umani.
Parlando in senso assoluto si potrebbe dire che in teoria si, in pratica no: nel senso che, se davvero si desse una identicità di soggetto sperimentatore (identico cervello biologico, identico ambiente, identica educazione, identica cultura, identiche esperienze anche emotive, et c.), solo allora *si* (per cui, no).
questo si riallaccia alla domanda di Vincenzo... :)

Ma la mia domanda è: importa qualcosa che tali strutture siano uguali?

Voglio dire, le strutture individuali saranno "sicuramente" diverse da un individuo all'altro, ma alla fine presumo che "sentiamo" tutti gli stessi suoni allo stesso modo così come vediamo le stesse forme e gli stessi colori (che poi in questi ci riconosciamo qualcosa - o la stessa cosa - non è detto, in quanto dipende dalle esperienze accumulate; ovviamente se non ho mai sentito suonare un pianoforte non posso riconoscerne il suono, ecc).
Luc1gnol0 ha scritto:Possiamo però con discreto grado di approssimazione supporre che, nel caso di elevata similitudine di tutte le condizioni al contorno, in via generale ed astratta le strutture andranno ad essere ragionevolmente simili (almeno su di un piano probabilistico: della serie, per molti ma non per tutti).
non so, io oserei supporre che quello che conta non è che le strutture siano simili tra loro, quanto che lo sia il loro "significato" per l'individuo cui appartengono.

E visto che, a dispetto della indubbia variabilità di tutto il sistema, alla fine vediamo e sentiamo tutti le stesse cose, oso anche supporre che in qualche modo sia proprio così.
Luc1gnol0 ha scritto:
UnixMan ha scritto:È viceversa evidente che, "mediamente", tutti sentiamo e vediamo (percepiamo) le stesse cose (fisiche) all'incirca allo stesso modo.

"Sfortunatamente" la funzione descrittiva della formazione e del funzionamento delle strutture del cervello deputate alla decodifica degli stimoli sensoriali è al momento del tutto o quasi incognita, sconosciuta, non inferibile dai dati in possesso, e questo, in aggiunta al funzionamento non lineare auto-adattativo dell'orecchio pure questo matematicamente poco noto (specie nella sua interazione col sistema nervoso centrale), esclude quasi ogni utilizzabilità pratica e diretta delle supposizioni fatte poc'anzi, e vieppiù esclude in radice la formulabilità di una correlazione tra il determinismo chimico della macchina cervello ed il determinismo del mondo fisico ad esso esterno. Ed abbiamo tralasciato le altre modalità di percezione (via endossea) per motivi di semplicità.
permettimi di dissentire. Se è senzaltro vero quello che dici, è anche vero che delle regole generali - in qualche modo valide per tutti gli esseri umani - che stabiliscono una serie di "relazioni" tra il suono (fisico) e la sua percezione sono state trovate. Alcuni meccanismi "percettivi" comuni sono noti. Magari non sappiamo come e perché funziona così ma, empiricamente, "dall'esterno" sappiamo che la nostra black-box si comporta in quel modo. E "mediamente" è così per tutti. Prova ne è (come già detto) l'esistenza di mp3 e compagni. Che se il sistema fosse così variabile, imprevedibile e soggettivo evidentemente non potrebbero funzionare. O no?

Luc1gnol0 ha scritto:Nel caso più limitato, viene ad emergere quello che a me pare l'altro lato del motivo del problema "conoscibilità".

Viene posta (secondo il cd. metodo Moss, o quel che io ne ho capito) una ipotesi aggiuntiva: ovvero che, nell'atto della registrazione, l'interazione tra il campo prodotto dai musicisti e l'ambiente introduca delle variazioni particolari nel dominio del tempo nel primo (ma c'è davvero un prima ed un dopo? O è tutto "contemporaneamente"? Mi sembro nullo!), che le strutture del cervello di cui sopra interpretano come afferenti alla localizzazione spaziale
Per quanto riguarda l'ambiente mi pare ovvio... siamo geneticamente e culturalmente programmati per "vedere con le orecchie", cioè per analizzare le alterazioni nei suoni introdotte dall'acustica dell'ambiente in cui sono stati prodotti e da questo ricostruire mentalmente l'ambiente in cui ci troviamo, oltre che ovviamente localizzare i suoni stessi. Tali informazioni sono inevitabilmente sovrapposte a qualsiasi campo acustico "naturale" (che non sia stato prodotto e registrato in una camera anecoica...) ed oserei dire altrettanto "ovviamente" sono registrate dai microfoni.

BTW, non vedo perché specificare "nel dominio del tempo". Da quando in qua ciò che avviene nel dominio del tempo non si riflette in quello delle frequenze e viceversa? Riflessioni, interferenze e risonanze non causano forse variazioni nelle intensità relative dello spettro?
Luc1gnol0 ha scritto:ed alle modalità espressive (termine mio) del suono stesso.
??? questa non l'ho capita. Che vorrebbe dire?
Luc1gnol0 ha scritto:Queste "modulazioni nel dominio del tempo" dei componenti del "suono" prodotto al momento della registrazione portano alla definizione del cd. "suono musicale".
??? "a casa mia" definiscono semplicemente il segnale registrato! (che ovviamente comprende anche gli effetti dell'ambiente di registrazione)
Luc1gnol0 ha scritto:Quando il "suono musicale" viene re-immesso nell'ambiente durante il processo ri-produttivo, per la stessa ipotesi in discorso l'interazione con l'ambiente va a produrre nuove e diverse variazioni dello stesso tipo.
e su questo "non ci piove", così come non ci piove sul fatto che le due distinte informazioni di ambienza (quelle dell'ambiente di registrazione e quelle dell'ambiente di riproduzione) mandano segnali diversi e contraddittori al cervello che non sa come interpretare la cosa.
Luc1gnol0 ha scritto:La sovrapposizione operata dalle strutture del cervello del "suono musicale" per come registrato, e delle variazioni prodottesi ex-novo renderebbe la percezione del "suono musicale" stesso non fedele, non congruente,
a parte il nonsense del termine "suono musicale", fin qui siamo daccordo.
Luc1gnol0 ha scritto: ma soprattutto da (AFAIK/IIRC) luogo alla tempo-varianza in senso stretto (presumo perché in larga parte dipendente dalla unicità delle condizioni di ciascuna riproduzione: nel caso, si ricadrebbe, per certi versi nella condizione che esemplificavi prima, e cioé ciascun singolo ascolto non è mai esattamente identico ad un certo modello di se stesso).
??? scusa ma qui non capisco proprio il senso.

O il sistema (la percezione) è tempo-variante, o non lo è. Perché mai dovrebbe esserlo solo per i suoni registrati?

E, soprattutto, perché mai la riproduzione - le riproduzioni - dovrebbero essere uniche? Casomai sono gli "originali" ad essere unici!
Luc1gnol0 ha scritto:Per il cd. metodo Moss dunque il concetto di "alta fedeltà" sarebbe da intendersi come "fedeltà" al campo come registrato
cosa che onestamente non vedo dove/come differisca dal pensiero comune... :?
Luc1gnol0 ha scritto:ovvero con quei "tempi di esistenza" dei "suoni musicali" e non altri, arbitrari, aggiunti/dipendenti dal sistema (sistema+ambiente) di riproduzione.
tutto qui?! :o

Cioè, tradotto: "eliminiamo completamente l'influenza dell'ambiente di riproduzione in modo che l'ascoltatore senta solo l'ambienza originale presente nella registrazione e non riceva segnali contraddittori".

E, per estenzione, "evitiamo che la catena di riproduzione possa introdurre alterazioni simili a quelle prodotte dall'ambiente e che possano quindi alterare le informazioni di ambienza e/o introdurne delle nuove incongruenti". Cioè occhio alle distorsioni lineari!

Doh! E icche' c'entrano tutte le menate sull'invarianza? e i "tempi di esistenza"!? (qualcuno gli ha mai detto che si chiama tempo di riverberazione?)

boh...

Se è tutto qui, a me sembra che il succo di tutto il discorso - tradotto per i poveri tecnici come me - sia semplicemente uno: occhio, state tutti a menarvela con le distorsioni non lineari ed invece dovreste preoccuparvi molto di più di quelle lineari (risonanze, filtraggi a pettine, riverberi, ecc).

Semplice, persino banale... ma utile! (e per di più... misurabile!!!)
Luc1gnol0 ha scritto:
UnixMan ha scritto:Quindi IMHO se ne può dedurre che per ogni campo acustico dato è definibile una "percezione media" che è invariante.

Per quanto detto sopra, in via generale si può solo supporre, non essendo nota una funzione descrittiva della percezione (globalmente intesa), e non dedurre. E' ragionevole supporlo, ma allo stato relativamente incongruo pensare di potervi influire con cognizione di causa agendo solo sul lato "invariante" (il campo) del fenomeno, stante l'interdisciplinarietà dello stesso (fisica, chimica, neuroscienza, psicologia, et c.): domani non so cosa porterà la marea.
o bella... se non agisci sul campo, su COSA altro vuoi/puoi agire? ?:-/
Luc1gnol0 ha scritto:La soluzione, nel caso limitato, non è di nuovo asserire il caos cognitivo, ma passa attraverso la minimizzazione a priori degli errori sistematici introdotti dal processo riproduttivo, cosa che credo (supposizione) sia poi quel che l'ing. Russo ha chiamato "modellizzazione a componenti perfetti".
si ma... quali sono questi errori sistematici? (se non le solite distorsioni lineari e non lineari?)

E, soprattutto: su cos'altro agiscono se non sul campo acustico?!
Luc1gnol0 ha scritto:
UnixMan ha scritto:Questo implica che posso intervenire sul campo acustico per influenzare la percezione e posso definire cosa è meglio e cosa è peggio. Posso fare misure e cercare una correlazione tra i risultati di queste (i parametri fisici del campo) e tale "percezione media". Infine, posso utilizzare le conoscenze acquisite per progettare il mio sistema di riproduzione affinché sia pecettivamente migliore. Tutte cose che ovviamente non potrei fare se il sistema fose "completamente" non-invariante.

No, questo non è logico: per influenzare la percezione, l'influire sul campo fisico è solo una parte e neanche maggioritaria del problema, essendo allo stato esclusa in radice allo stato una correlazione diretta tra il determinismo fisico del campo ed il determinismo chimico del soggetto.

e quando l'hai esclusa? se consideri un unico soggetto, mi pare che mi hai detto tu stesso che per "n" eventi gli schemi convergono statisticamente. Verosimilmente soggetti diversi convergeranno ciascuno verso "schemi" diversi, ma altrettanto verosimilmente il "significato" di tali schemi per i rispettivi soggetti sarà sostanzialmente comune.
Luc1gnol0 ha scritto:
UnixMan ha scritto:Delle teorie di Moss non sono mai riuscito a vedere un compendio comprensibile e da quel poco che ho letto in giro fondamentalmente non ci ho capito un accidente.

Nemmeno io, ma non è un problema, non più per me.

:D
Luc1gnol0 ha scritto:Scusa, capisco che non ne sappiamo nulla del cd. metodo Moss, ma almeno studiati quell'Ando che rappresenta quanto di più vicino ci sia, tra il materiale accessibile, allo stato dell'arte della scienza cd. ufficiale (almeno fino a tre anni fa): il link credo sia nella pagina precendente di questo thread.

appena ho un po di tempo ci devo guardare...
Luc1gnol0 ha scritto:
UnixMan ha scritto:il problema in tutta questa questione IMHO è proprio questo. Se non sappiamo come le informazioni vengono elaborate, come facciamo a progettare un sistema di riproduzione? su quali basi lo progettiamo?

I dunno. O meglio, io mi tengo stretto il Radiotron (metafora), almeno non piglio la scossa e non mi fumano i trasformatori.

Idem. ;) :D
Luc1gnol0 ha scritto:Il problema che poni in chiusura, "se tutto è davvero inconoscibile, siamo perduti" (ho sintetizzato), secondo me si scontra col cartesiano e sempre vero: cogito ergo sum.
che vuoi dire?
Ciao, Paolo.

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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da marziom »

Luc1gnol0 ha scritto: Viene posta (secondo il cd. metodo Moss, o quel che io ne ho capito) una ipotesi aggiuntiva: ovvero che, nell'atto della registrazione, l'interazione tra il campo prodotto dai musicisti e l'ambiente introduca delle variazioni particolari nel dominio del tempo nel primo (ma c'è davvero un prima ed un dopo? O è tutto "contemporaneamente"? Mi sembro nullo!), che le strutture del cervello di cui sopra interpretano come afferenti alla localizzazione spaziale ed alle modalità espressive (termine mio) del suono stesso.

Queste "modulazioni nel dominio del tempo" dei componenti del "suono" prodotto al momento della registrazione portano alla definizione del cd. "suono musicale".

Quando il "suono musicale" viene re-immesso nell'ambiente durante il processo ri-produttivo, per la stessa ipotesi in discorso l'interazione con l'ambiente va a produrre nuove e diverse variazioni dello stesso tipo.

La sovrapposizione operata dalle strutture del cervello del "suono musicale" per come registrato, e delle variazioni prodottesi ex-novo renderebbe la percezione del "suono musicale" stesso non fedele, non congruente, ma soprattutto da (AFAIK/IIRC) luogo alla tempo-varianza in senso stretto (presumo perché in larga parte dipendente dalla unicità delle condizioni di ciascuna riproduzione: nel caso, si ricadrebbe, per certi versi nella condizione che esemplificavi prima, e cioé ciascun singolo ascolto non è mai esattamente identico ad un certo modello di se stesso).

Per il cd. metodo Moss dunque il concetto di "alta fedeltà" sarebbe da intendersi come "fedeltà" al campo come registrato (a prescindere anche dal problema della sua eventuale conoscibilità/indagabilità/misurabilità), ovvero con quei "tempi di esistenza" dei "suoni musicali" e non altri, arbitrari, aggiunti/dipendenti dal sistema (sistema+ambiente) di riproduzione.
Concordo, cioè voglio dire che anche io l'ho capita cosi... solo che tu come al solito l'hai spiegata in maniera "fulminante".
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da nullo »

marziom ha scritto:
Concordo, cioè voglio dire che anche io l'ho capita cosi... solo che tu come al solito l'hai spiegata in maniera "fulminante".
Già, è una "zucca" anche lui, se glielo chiedi, non dice nulla, ma se non glielo chiedi...
Russo ha scritto:"il suono musicale è una storia spazio temporale che l'ambiente costruisce
a partire da quanto emesso dallo strumento."
L'ipotesi è suggestiva.

Un solo piccolo appunto a integrazione di quanto detto da Luca:
Luc1gnol0 ha scritto:Per il cd. metodo Moss dunque il concetto di "alta fedeltà" sarebbe da intendersi come "fedeltà" al campo come registrato (a prescindere anche dal problema della sua eventuale conoscibilità/indagabilità/misurabilità), ovvero con quei "tempi di esistenza" dei "suoni musicali" e non altri, arbitrari, aggiunti/dipendenti dal sistema (sistema+ambiente) di riproduzione.
Il campo registrato dovrebbe essere già al netto dei difetti e non è detto che lo sia. Certamente, se registriamo con un particolare occhio a certe problematiche, le soluzioni in campo non saranno più quelle che vediamo di norma oggi. Se noi pensiamo al sistema, possiamo solo operare ritenendo perfette le registrazioni, non possiamo rincorre ogni singola metodologia, per ottimizzare la riproduzione. Se si opera in tal senso, verranno a dilatarsi le differenze fra le varie registrazioni, non solo, all'interno dello stesso disco le registrazioni dei vari brani appariranno spesso molto diverse tra loro, cosa che non pare possibile avvertire altrimenti.

@ Paolo, le riflessioni non sono l'unico problema, ma nel caso lo fossero e con dei pannelli o altro assorbiamo qua e là, che abbiamo fatto? .... abbiamo corretto i livelli?... che altro?
Ciao, Roberto

Conoscete qualcuno che scelga i propri apparecchi ed accessori con le misure e non con l'ascolto degli stessi in un particolare contesto?
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da UnixMan »

marziom ha scritto:Concordo, cioè voglio dire che anche io l'ho capita cosi... solo che tu come al solito l'hai spiegata in maniera "fulminante".
Il "problema" (che poi non sarebbe un problema) è che se è così, una volta spogliato di tutta la terminologia "mossiana" impropria e/o inventata di sana pianta, diradata la cortina fumogena delle sovrastrutture irrilevanti e tradotto il tutto in termini tecnici concreti, di fatto non dice poi gran che di nuovo... (in compenso, si avvicina alle idee di Ambrosini o del "Club degli 0.1dB" per quanto riguarda l'importanza della risposta in frequenza... che è come dire per l'appunto delle distorsioni lineari!).

Tutte le strade portano a Roma?
nullo ha scritto:@ Paolo, le riflessioni non sono l'unico problema, ma nel caso lo fossero e con dei pannelli o altro assorbiamo qua e là, che abbiamo fatto? .... abbiamo corretto i livelli?... che altro?
non hai corretto solo i livelli. Quello che devi capire è che tempo, ampiezza e frequenza non sono cose distinte. Ad ogni cambiamento nel dominio del tempo ne corrisponde uno (conseguente/equivalente) nel dominio della frequenza e viceversa. Se cambi una cosa alteri anche le altre.

Nota bene che con il ragionamento sull'ambienza (e sulle relative incongruenze) si potrebbero spiegare anche molte altre cose anche relativamente alle elettroniche, ecc.

E torna perfettamente anche il discorso della lotta alle vibrazioni (e perfino alcuni discorsi "termici" ed "optoelettronici" di Fabio).

Un "rientro" elettroacustico, un "effetto memoria" termico così come molte altre forme di distorsione lineare e non-lineare ("rumore correlato") se hanno determinate caratteristiche potrebbero essere interpretati dal cervello come "segnale di ambienza". Che con ogni probabilità non sarà congruente con l'ambienza naturale dell'ambiente di registrazione.

Da notare che, a differenza dei fenomeni di mascheramento propriamente detti, che richiedono "disturbi" di ampiezza sensibile perché siano rilevanti, i "segnali di ambienza" e le relative incongruenze potrebbero avere effetti sensibili anche se percepibili solo a livello subliminale (cioè anche se di ampiezza/entità molto modeste).

Insomma, tornerebbe tutto...

...solo che la non invarianza non c'entra un fico secco! :o
Ciao, Paolo.

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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da misureaudio »

Pensando a una possibile cross-fertilization di saperi, riporto le dichiarazioni dell'A.D. Ducati in seguito alle prove della moto da campionato assegnata a Valentino Rossi, dopo le impressioni da Rossi riportate:

"esiste corrispondenza tra le sensazioni riportate da Valentino e le (misurazioni) dei computer".

In base a questo, come del resto accade nella riproduzione (musicale) e nel formulare giudizi estetici, sarà una questione elementare predire la vittoria matematica del Doctor nel prossimo campionato, con l'utilizzo di sole equazioni lineari.

P.S. Nel 2011 mi dicono anche che:

1) con equazioni lineari si prediranno le crisi finanziarie globali.
2) grazie alla sempre più sofisticata capacità di calcolo dell'iPhone basterà puntarne la cam verso una qualunque bella donna per sapere con certezza che non ci manderà a spigolare in caso di approccio.
3) Turing e Goedel resusciteranno entrambi per aver occasione di rinnegare la loro opera omnia.
4) la Formula 1 sarà dichiarata d'ufficio Regno dell'Invarianza.
5) Gli automi saranno solo del tipo a stati finiti. Ma per Decreto.
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da misureaudio »

"Quello che devi capire è che tempo, ampiezza e frequenza non sono cose distinte. Ad ogni cambiamento nel dominio del tempo ne corrisponde uno (conseguente/equivalente) nel dominio della frequenza e viceversa. Se cambi una cosa alteri anche le altre."

Questo lo sappiamo. Nel senso che se si prende il Teorema di Fourier, per segnali periodici la cosa vale, con il piccolo particolare che i segnali in questione devono esistere su tutta la Retta Reale. Non è cosi per nessun segnale fisico, tantomeno per le forme d'onda registrate in qualche punto dello spazio per le ouverture di Rossini. Tantomeno è applicabile a segnali non stazionari. Il problema non è quello di cambiare una porzione di forma d'onda acquisita e verificare, in UNA delle MOLTE possibili rappresentazioni, che anche la rappresentazione cambia. Il problema è capire SE e QUALE rilevanza abbia nella formulazione di giudizio estetico-esperienziale quando poi alla fine di tutto ci sta un ascoltatore (umano). (E non mi si parli delle analisi di tipo PET, che a oggi la risoluzione è ridicola, serve giusto a qualificare le trenta zone funzionali interessate dall'orgasmo femminile.)(http://www3.lastampa.it/scienza/sezioni ... tp/374368/)
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da misureaudio »

Al fine di qualificare se uno strumento musicale suoni bene, male, ci emozioni, non ci emozioni manco se ce lo infliggiamo nelle carni, l'unica sovrastruttura irrilevante è proprio l'analisi armonica secondo Fourier.
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da misureaudio »

Domanda: in Adobe Audition la funzionalità "Spectrogram" quale distribuzione TFA implementa? Utilizza una STFT o una pseudo-distribuzione di Wigner? O una Choi-Williams? O lo scalogramma di Morlet? Provate a caricare in Audition due file campionati, corrispondenti alla acquisizione in sincrono (...già qui...) dello stesso brano musicale a scelta riprodotto attraverso due differenti amplificatori. Siete in grado, osservando i due spettrogrammi, di condurre osservazioni ripetibili, condivise, opportunamente predittive della qualità di suono espressa a partire da entrambi?
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da Luc1gnol0 »

UnixMan ha scritto:Insomma, tornerebbe tutto...

...solo che la non invarianza non c'entra un fico secco! :o
Mi permetto di procrastinare un intervento più puntuale di quello che vado ora a svolgere, perché mi sembra che ci siano da provare a dissipare prima alcuni equivoci di fondo.

Perché parlo di equivoci, li intendo in qualche particolare modo?

La mattina, uscito di casa, mi fermo molto spesso a prendere il caffè in un certo bar.
Le questioni che mi determinano a ciò, oltre al bisogno (indotto?) di caffeina in forma di espresso, sono di ordine sia pratico, sia estetico.
Il bar si trova lungo una strada rettilinea, ha normalmente parcheggio disponibile, il caffè per come mediamente lo fanno mi piace abbastanza. Non mi piace però il barista: fosse per lui, non mi fermerei proprio lì a drogarmi la mattina.
Il motivo principale del suo non piacermi credo sia da ricondurre al modo che ha di servire.
Stamattina ho assistito ad una "scenetta" che mi ha fatto riflettere su tale motivo: prima di me, da servire, c'erano tre clienti occasionali. Tre lavoratori di origine probabilmente slava (albanesi? Rumeni? Boh!) che stavano visibilmente insieme (non erano tre clienti ognuno per i fatti propri): tre caffè... serviti i tre caffè, mentre il barista si dedica agli altri clienti, tempo forse 30 sec uno chiede dell'acqua. Tempo forse altri 30-60sec anche un secondo di loro chiede dell'acqua. Altri 30 sec ed infine anche il terzo chiede acqua. Al che il barista con termini non proprio cortesi gli fa notare che un ordinativo *lì* non si fa a rate, perché rallenta il suo lavoro.
E torniamo a me: perennemente oscillante tra vernacolo ed accademia, come ama dire il buon Filippo, ho alcune forme mentali piuttosto rigide. Detesto rompere le scatole agli altri mentre lavorano (forse perché detesto quando analogamente le rompano a me? Boh!) per cui di buon grado faccio la fila al bar: ma poi voglio che per una frazione acconcia di tempo chi è deputato a servirmi mi dedichi l'attenzione necessaria a prendere correttamente il mio ordinativo. Per cui per me un "buon servire" più o meno alla fine si sostanzia in un guardarsi in faccia, salutarsi brevemente ma educatamente, porre la richiesta, ringraziare.
Il barista in questione è uno che non ti guarda mai in faccia. Dalle sue reazioni (ha continuato a commentare) dopo la scenetta descritta, ho capito che dal suo punto di vista un buon servizio deve essere efficiente, non solo nei confronti del singolo cliente, ma in rapporto a tutti gli astanti ed alle esigenze organizzative del bar. Guardare qualcuno in faccia, salutarlo specificamente, dire "prego" dopo che gli hai detto "grazie" sono perdite di tempo compatibili con un servizio efficiente solo in misura secondaria.
Per fare questo ha sviluppato i suoi automatismi: riconosce i clienti abituali, ricorda gli ordinativi abituali, e se non riceve immediatamente informazioni contrarie una volta individuato (spesso senza che si sia ancora avvicinato al bancone) un cliente abituale con ordinativo ricorrente, senza accenni visibili si dedica alla preparazione di quel che immagina gli verrà presumibilmente ordinato di lì a poco, senza (i per me viceversa necessari) convenevoli. Egli ritiene di aver svolto in maniera soddisfacente il suo lavoro quando tutti i clienti sono stati serviti nel minor tempo possibile, "perché la mattina si ha tutti fretta quando si va al lavoro", e la fretta è il suo criterio d'ordine.
Al che mi è un poco passata l'antipatia: era solo un equivoco sul concetto di buon servizio, non una scortesia voluta, la sua.
Non che la cosa mi stia bene, le mie esigenze sono certe e non altre, però ci siamo, senza dircelo, intesi un po' di più.

Qui io vedo un equivoco qualitativamente della stessa natura, ovvero generato più che dalla questione in se, da diverse concezioni ed aspettative. O forse tutti gli equivoci umani sono così: boh!

Quando si parla di tempo-invarianza, che cosa si intende? La casualità ha una corrispondenza biunivoca con una non limitatezza delle risposte possibili? Se un sistema ha una risposta all'impulso a stati finiti, in ipotesi rappresentati dai 3 numeri naturali 2, 3 e 4, tra loro equiprobabili, esso per me è tempo-variante: ad ogni stimolazione in un dato istante del tempo, t' > t, non ho modo di predire se la risposta sarà 2, 3 o 4.
Il fatto che non sia tempo invariante ovviamente non vuol dire che posso aspettarmi qualsiasi numero come risposta: il sistema non potrà darmi un razionale, ovvero un trascendente, solo perché tutti e tre (naturali, razionali e trascendenti) sono dei numeri reali. E nemmeno potrà darmi come risposta il naturale 1.345.678.
Motivo per cui si può affermare che la tempovarianza è in ipotesi di suo compatibile con una risposta all'impulso in qualche modo adatta a fare predizioni non precise, di ordine più generale ma sui generis "esatte".

Torniamo alla percezione: nell'intento di chiarire le cose avevo pensato nel precedente post di dividere la percezione tout court da quella dei cd. suoni musicali: poiché l'intento non l'ho raggiunto, consideriamo la percezione unitariamente.
Facciamo un esempio di percezione uditiva: consideriamo una coppia di fidanzatini nel corso di una cenetta romantica (anniversario, compleanno, dichiarazione formale all'antica, fate vobis). Lei dice a lui, a distanza di circa 1mt con un rumore di fondo di almeno 35-40dB, e con quello che (immaginiamo) sia un tipico tono situazionale (voce appena malferma, volume basso o moderato per esprimere intimità e per esigenze di privacy, et c.): "Ti amo". Ora, possono ben darsi situazioni più o meno catastrofiche in cui lui risponda con tono squillante: "Scusa, che hai detto?" - ma generalmente accade che il ns. ipotetico lui con occhi sognanti rigira nel suo cervellino in pappa le parole che ha appena udito considerandole bellissime. Magari starà in silenzio per qualche attimo, magari risponderà subito qualcosa tipo "Anch'io" o "Ti amo".
Consideriamo noi poi la stessa coppia magari dieci-quindici anni dopo, supponendola sposata, nell'occorrenza di una discussione in casa che accalori gli animi, in un orario adatto al supporre rumore di fondo non meno di 35-40dB: alla distanza di 1mt circa, lei dice a lui, con voce non sicura, ferma, a volume basso o moderato (in ipotesi generando esattamente un livello di pressione identico alla situazione precedente): "Ti amo". E' verosimile e probabile che lui possa avere una risposta diversa all'impulso, rispetto all'episodio di tanti anni prima: è situazione comune che possa del tutto obliterare le due parole, non sentirle o elaborarle con un consistente scarto di tempo, così com'è che possa divenire molto più probabile che pria che possa rispondere: "Scusa, che hai detto?" o con un "Ma che c'entra ora!".

Le mie parole non sono sufficientemente precise, spero siano però sufficientemente evocative: nell'ipotesi che il campo sonoro emesso dalla lei di turno fosse esattamente identico nelle due occasioni, la risposta all'impulso del lui di turno è probabilisticamente diversa. E' più facile che sia "2" la prima volta, e "4" l'altra. Il campo fisico ha una qualche attinenza con le condizioni al contorno che determinano tale risposta? Potevano in qualche misura tenerne conto? Per quello che è il mio intento di tutto il discorso, no.

Ti è richiesto un consistente sforzo di comprensione ed adattamento, Paolo.
--- --- ---
Ciao, Luca

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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da marziom »

UnixMan ha scritto:
marziom ha scritto:Concordo, cioè voglio dire che anche io l'ho capita cosi... solo che tu come al solito l'hai spiegata in maniera "fulminante".
Il "problema" (che poi non sarebbe un problema) è che se è così, una volta spogliato di tutta la terminologia "mossiana" impropria e/o inventata di sana pianta, diradata la cortina fumogena delle sovrastrutture irrilevanti e tradotto il tutto in termini tecnici concreti, di fatto non dice poi gran che di nuovo... (in compenso, si avvicina alle idee di Ambrosini o del "Club degli 0.1dB" per quanto riguarda l'importanza della risposta in frequenza... che è come dire per l'appunto delle distorsioni lineari!).
direi proprio di no...
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da UnixMan »

Luc1gnol0 ha scritto:Perché parlo di equivoci, li intendo in qualche particolare modo?
[...]
Le mie parole non sono sufficientemente precise, spero siano però sufficientemente evocative: nell'ipotesi che il campo sonoro emesso dalla lei di turno fosse esattamente identico nelle due occasioni, la risposta all'impulso del lui di turno è probabilisticamente diversa. E' più facile che sia "2" la prima volta, e "4" l'altra. Il campo fisico ha una qualche attinenza con le condizioni al contorno che determinano tale risposta? Potevano in qualche misura tenerne conto? Per quello che è il mio intento di tutto il discorso, no.
bel racconto. Quando scrivi così è sempre un piacere leggerti. :nod:

Però credo che l'equivoco sia un altro. E cioè che si stia facendo una notevole confusione tra la percezione dei suoni (in quanto tali), la loro interpretazione/elaborazione e le (eventuali) conseguenti risposte emozionali e/o coscienti. Che, a mio modesto avviso, sono cose ben distinte e separate. Come detto più volte, mi sembra a dir poco ovvio che queste ultime siano fortemente soggettive e dipendenti dal contesto (e quindi, altrettanto ovviamente, anche tempo-varianti). Ma ciò non implica necessariamente che la percezione dei suoni in quanto tali sia diversa.

Se ad es. sono in un poligono di tiro e sento il rumore di un colpo di arma da fuoco, verosimilmente non avrò alcuna reazione particolare. Ma se invece sono in mezzo a una strada, altrettanto verosimilmente mi spavento e magari istintivamente mi butto anche a terra! Le reazioni sono completamente diverse, ma nondimeno il suono che ho sentito (percepito) è lo stesso!

Se parliamo di riproduzione audio, tutto quello che ci interessa (nel senso che fino a prova contraria è tutto e solo ciò che possiamo materialmente fare) è cercare di riprodurre quanto più "correttamente" possibile i suoni registrati presenti sul supporto. Non possiamo certo progettare una sorgente, un amplificatore, dei diffusori o quant'altro affinché questi influiscano in un modo piuttosto che in un altro sulla risposta emozionale di chi ascolta! Questa casomai dipenderà prevalentemente dal "software" che andiamo a riprodurre, dal soggetto che ascolta, dal contesto e solo in parte, anzi direi quasi marginalmente, dalla qualità della riproduzione. O no?
Ciao, Paolo.

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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da misureaudio »

UnixMan ha scritto: Se parliamo di riproduzione audio, tutto quello che ci interessa (nel senso che fino a prova contraria è tutto e solo ciò che possiamo materialmente fare) è cercare di riprodurre quanto più "correttamente" possibile i suoni registrati presenti sul supporto. Non possiamo certo progettare una sorgente, un amplificatore, dei diffusori o quant'altro affinché questi influiscano in un modo piuttosto che in un altro sulla risposta emozionale di chi ascolta! Questa casomai dipenderà prevalentemente dal "software" che andiamo a riprodurre, dal soggetto che ascolta, dal contesto e solo in parte, anzi direi quasi marginalmente, dalla qualità della riproduzione. O no?
Sta tutto nell'interpretare quel "correttamente", traendo le necessarie conseguenze a livello tecnico. Il punto di partenza tuo, Paolo, confrontato con quello di Fabio, porta a possibili grosse divergenze. Quali? Prova a confrontare due RCF anni '80, veri righelli secondo Fourier, con una coppia, ad esempio, di Avalon, meno righello delle RCF. O anche: prova a passare una settimana a misurare in ambiente una coppia di Quad elettrostatiche. Fourier dice tutto secondo te? Aiuta a capire se suoneranno in modo "musicale"?
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da UnixMan »

misureaudio ha scritto:Sta tutto nell'interpretare quel "correttamente", traendo le necessarie conseguenze a livello tecnico. Il punto di partenza tuo, Paolo, confrontato con quello di Fabio, porta a possibili grosse divergenze.
il mio punto di vista lo conosco... ;) è quello di Fabio che resta un mistero.
misureaudio ha scritto:Quali? Prova a confrontare due RCF anni '80, veri righelli secondo Fourier, con una coppia, ad esempio, di Avalon, meno righello delle RCF. O anche: prova a passare una settimana a misurare in ambiente una coppia di Quad elettrostatiche. Fourier dice tutto secondo te? Aiuta a capire se suoneranno in modo "musicale"?
Certo che no. Altrimenti non starei neanche qui a discuterne... :)
Ciao, Paolo.

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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da vince »

Ciao misureaudio,
chiaro quello che tu dici, ma non credo sia questo il punto.

Se posso, volevo sapere da qualcuno quale delle due seguenti:

a) il problema è che "correttamente" non è definito, paolo ne è cosciente e vuole trovare un modo per quantificarlo anche se in maniera statistica. Per esempio preso a casaccio, stabilendo che statisticamente un ampli con rapporto tra seconda e terza armonica pari a x permette una riproduzione che alla maggior parte delle persone risulta corretto, on un qualsiasi altra invenzione che può venire in mente.

b) il "correttamente" non è definibile (come forse potrebbe dire fabio?)


se non è definibile che si fa?
Se ho capito bene una delle cose che Paolo diceva in messaggi vecchi è:
posto che il fine sia quello di far percepire la riproduzione uguale all'evento originale (e qui credo che ancora ho dei buchi non riuscendo a capire alcuni passaggi).
Probabilmente qualcuno correggerà la premessa spiegando, magari.
Su quali parametri mi devo basare per progettare correttamente l'apparato di riproduzione?
Se conosci tali parametri li devi usare, se no vai a casaccio.
Vincenzo
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Condivisione è bello.
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da misureaudio »

Ciao Paolo.
Ciao Vincenzo.

Chiarisco la mia personale posizione:

1) Qualsiasi strumento di misura mi sta, mediamente, simpatico. D'altra parte non avrei acquisito il mio armadietto PXI National Instruments, con farcitura di schede DSA...
2) Qualsiasi cosa matematica o appartenente alla fisica matematica mi sta altrettanto simpatica. Pertanto penso che tutte le persone intervenute in questo thread possano convenire sul fatto che nessuno sta cercando di venare di irrazionalismo la discussione.
3) il "correttamente" potrei traslarlo nel mondo dei metodi della F1. Red Bull e Ferrari sono certamente a conoscenza di moltissime, se non tutte, le tecnologie di prima scelta riguardanti almeno: aerodinamica, meccanica dinamica e termodinamica dei motori, telemetria, meccatronica e teoria del controllo. Questo è precondizione non sufficiente a vincere un GP o il campionato. Le analogie con la riproduzione musicale sono, penso, abbastanza immediate.
4) Nessuno rigetta le misure in sé. L'importante è che non si si identifichino per forza come prima o esclusiva scelta quelle in realtà meno indicate, (laddove sia facile generare controesempi pratici con casse che suonano in modo distinguibile ai fini del gradimento e della introspezione musicale, pur sembrando vicinissime alle, appunto, misure).
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da misureaudio »

Mi piace ammettere anche che:

1) le cose si fanno molto difficili quando si voglia emettere un giudizio approfondito di natura estetica, come conseguenza di questa o di quella tecnologia applicata.

2) alcune situazioni "controesempio", clamorose, in tema di "controllo ambientale" mi stanno capitando oramai frequentemente. Seppur realizzate, apposta, in maniera sub-ottimale (non difforme, si badi, solo sub-ottimale) rispetto a idee più volte esposte dall'Ing.Russo, si sono rivelate decisive nel farmi scegliere la strada indicata proprio dall'Ing.Russo. Non piacciono le strutture in feltro? Peccato, perché funzionano. Sono addirittura possibili assaggi del risultato utilizzando assorbitori di altra origine, alcuni anche commerciali, purché posti ad assorbire in particolari intorni locali alle casse. Si cambia dall'ascoltare due (caso reale) Avalon Opus chiedendosi che senso avesse comprarle, al fatto, quello sì clamoroso, di realizzare sensazioni di ambiente riprodotto più che evidenti. Senza trattamento si va via dopo mezz'ora senza far capire alll'amico padrone di casa che non si è per nulla soddisfatti. Con il trattamento invece si entra nella stanza e si tende a rimanerci, con piacere musicale evidente, rischiando anzi l'effetto Garfield: ci si sta rilassati come il gatto... N.B. Perché un controllo locale alle casse, in assorbimento, funzioni meglio, musicalmente, di un trattamento da cinema, non è spiegabile con Fourier, tantomeno con la risposta in frequenza nel punto di ascolto. Qualche Pro si incavolerebbe, tuttavia l'impianto è lì... E funziona, accidenti se si sente...
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da nullo »

UnixMan ha scritto:

Se ad es. sono in un poligono di tiro e sento il rumore di un colpo di arma da fuoco, verosimilmente non avrò alcuna reazione particolare. Ma se invece sono in mezzo a una strada, altrettanto verosimilmente mi spavento e magari istintivamente mi butto anche a terra! Le reazioni sono completamente diverse, ma nondimeno il suono che ho sentito (percepito) è lo stesso!
Paolo, per me, stai facendo passi da gigante :smile:

In ogni caso il suono è simile, non lo stesso. Prova ( se ti interessa :wink: ) a pensare alle caratteristiche di quello sparo, ad es. se è vicino o lontano, non cambia solo l'intensità, ma anche le caratteristiche dello stesso, e anche quelle dell'eco che puoi dopo che è cessato il suono che l'ha originato, inoltre, cambia il tempo che intercorre prima tu possa sentirne l'eco, nel caso di un esplosione forte, rispetto a quello di un esplosione di debole intensità.

Se ipotizzi uno scambio a fuoco, i livelli, le direzioni di provenienza, gli echi, dovranno avere un preciso ordine sequenziale e con parametri coerenti fra loro, analisi che può fare solo chi ha un esperienza precedente. Non trovi?

Chi non ha avuto esperienze come può analizzarlo?

Che succede se manca la coerenza sopracitata?... non perderesti tempo a cercare di scegliere quali informazioni scartare per trovare il bandolo della matassa?
Ciao, Roberto

Conoscete qualcuno che scelga i propri apparecchi ed accessori con le misure e non con l'ascolto degli stessi in un particolare contesto?
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da dueeffe »

vince ha scritto:Ciao misureaudio,
chiaro quello che tu dici, ma non credo sia questo il punto.

Se posso, volevo sapere da qualcuno quale delle due seguenti:

a) il problema è che "correttamente" non è definito, paolo ne è cosciente e vuole trovare un modo per quantificarlo anche se in maniera statistica. Per esempio preso a casaccio, stabilendo che statisticamente un ampli con rapporto tra seconda e terza armonica pari a x permette una riproduzione che alla maggior parte delle persone risulta corretto, on un qualsiasi altra invenzione che può venire in mente.

b) il "correttamente" non è definibile (come forse potrebbe dire fabio?)


se non è definibile che si fa?
Se ho capito bene una delle cose che Paolo diceva in messaggi vecchi è:
posto che il fine sia quello di far percepire la riproduzione uguale all'evento originale (e qui credo che ancora ho dei buchi non riuscendo a capire alcuni passaggi).
Probabilmente qualcuno correggerà la premessa spiegando, magari.
Su quali parametri mi devo basare per progettare correttamente l'apparato di riproduzione?
Se conosci tali parametri li devi usare, se no vai a casaccio.


L'errore (molto comune, quindi, prima che se la prenda, specifico che la critica non è rivolta "ad personam", ovvero a Paolo) è quello di agire con convinzioni e metodi vecchi di almeno cento anni.
(Ovvero, visto che qualcuno l'ha citato, con prassi cartesiana).

Proprio la Teoria dei Sistemi ci insegna che un dato sistema deve essere studiato "per intero".
Il comportamento di un sistema non è completamente descrivibile analizzandone le singole parti (o, peggio, escludendone qualcuna).

E questo non lo dico io.
è la posizione ufficiale della scienza odierna.
Che poi quest'ultima sia ignorata dalla maggior parte delle persone (che, evidentemente, si trovano "meglio" con certe "sicurezze" dei secoli scorsi) è una questione che non mi tange.

Perchè, alla fine, Il problema del discorso (in questo 3D, come in altri 3D, come nei modi di agire comune nella progettazione dei sistemi di riproduzione musicale) è sostanzialmente questo.

salutoni,

Fabio.
Μὴ δῶτε τὸ ἅγιον τοῖς κυσίν, μηδὲ βάλητε τοὺς μαργαρίτας ὑμῶν ἔμπροσθεν τῶν χοίρων, μήποτε καταπατήσουσιν αὐτοὺς ἐν τοῖς ποσὶν αὐτῶν καὶ στραφέντες ῥήξωσιν ὑμᾶς
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Re: Misure, misurare, si,no... la solita vecchia storia.

Messaggio da dueeffe »

Ancora:


La Teoria dei Sistemi è una metodologia di studio che si preoccupa in primo luogo di individuare le relazioni che intercorrono tra le varie componenti dell’oggetto o sistema in esame, qualora si tenda a riguardarlo ed esaminarlo da un punto di vista globale, immerso naturalmente in un ambito più esteso che si dice ambiente.
In contrapposizione con la metodologia sistemica possiamo porre la Teoria Analitica che ha la tendenza a scomporre l’oggetto in esame, il sistema se si vuole, in una miriade o esplosione di parti elementari o atomiche, ovvero considerate tali, da studiare ciascuna indipendentemente dalle altre.

Un esempio di contrapposizione di queste metodologie ci può essere prestato dalla valutazione scolastica. Uno studente viene valutato da un gruppo di insegnanti di discipline diverse e consegue dei voti separati.
La media matematica dei voti ottenuti esprime si una valutazione, ma tale valutazione, pur provenendo da un processo analitico, non tiene in alcun conto le interazioni tra le discipline ed è quindi una valutazione globale mediata analitica e non sistemica.
Differente è l’atteggiamento secondo il quale il singolo valutatore, pur avendo memoria del suo giudizio individuale, lo sottopone ad un esame collettivo di confronto con quello di altri valutatori. Assieme essi addivengano ad una verifica di obiettivi prederminati e di percorsi interdisciplinari.
Essi così esprimono un giudizio qualitativo sui processi logici e relazionali acquisiti dal discente. Una tale metodologia è certamente di tipo sistemico e valuta globalmente la maturità raggiunta rispetto ad alcuni obiettivi fissati. Il primo è il sistema oggi usato ad esempio nelle Università ai fini di stabilire il voto di laurea, sia pure con l’utilizzo di un addendo correttivo, anche algebrico, rispetto alla media.
Il secondo sistema descrive la metodologia pensata e in uso nei nuovi esami di stato.


da:
http://www.apav.it/mat/filoslette/epist ... istemi.pdf
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