UnixMan ha scritto:Luc1gnol0 ha scritto:e non è rilevante il fatto che non ci sono elementi per stabilire se sia (o meno) tempo variante di suo.
...qui invece no.
La rilevanza sta nel fatto che se il campo fosse di per se stesso tempo-variante, praticamente non potresti avere alcuna riproduzione fedele e prevedibile neanche del campo stesso. Viceversa, io do per scontato che un campo acustico sia (almeno in linea di principio) perfettamente riproducibile (mi riferisco ad es. al campo acustico riprodotto in un dato ambiente, insomma a quello che succede riproducendo più volte lo stesso disco, con lo stesso impianto, nello stesso ambiente, nelle medesime condizioni, ecc).
Era solo una clausola di stile, una formula per dire che, ai fini del limitato discorso in oggetto, si può anche soprassedere sul fatto che il campo sia esso tempo invariante o tempo variante.
Come ho avuto già modo di dire, bisogna cercare di non confondere semplicità e determinismo.
Se il campo fosse tempo-variante, beh, nulla quaestio.
Se il campo fosse tempo-invariante, ancora manca la perturbazione dello stesso a fini di indagine: se la perturbazione (misura, percezione, decodifica) è tempo invariante, vale la sovrapposizione degli effetti et c. Viceversa, se la perturbazione (misura, percezione, decodifica) è in se tempo variante, non vale la sovrapposizione degli effetti tra campo e perturbazione stessa (misura, percezione, decodifica).
UnixMan ha scritto:Ma se la percezione fosse "completamente" tempo-variante, sarebbe completamente scorrelata dal campo acustico. Il che implicherebbe però che la percezione dovrebbe essere assolutamente casuale rispetto al campo acustico, cioè completamente indipendente da esso! Cosa che è evidentemente falsa.
I termini della questione vanno precisati, rispetto a quanto vai scrivendo.
Un conto è parlare di percezione dei suoni tout court.
Un altro, più limitato, e secondo il cd. metodo Moss qualitativamente diverso conto è parlare di percezione dei cd. "suoni musicali" (musica, pre-registrata, poi riprodotta, et c.).
Secondo me la questione non sarebbe da affrontare in certi termini, ma viste alcune conseguenze che ti sembra di inferirne, vediamo il caso più generale che poni: la percezione è possibile che sia scorrelata dal campo acustico?
Con certezza quasi assoluta, no: come un po' credo tu sappia, per quel che si conosce la natura sostanzialmente stocastica della percezione/trasmissione nervosa fa si che nei centri corticali vadano a formarsi delle strutture, appunto, statisticamente più probabili rappresentative del percepito ("il grande mondo laggiù").
Ci si può chiedere se queste strutture possano essere sempre le stesse per tutti gli esseri umani.
Parlando in senso assoluto si potrebbe dire che in teoria si, in pratica no: nel senso che, se davvero si desse una identicità di soggetto sperimentatore (identico cervello biologico, identico ambiente, identica educazione, identica cultura, identiche esperienze anche emotive, et c.), solo allora *si* (per cui, no).
Possiamo però con discreto grado di approssimazione supporre che, nel caso di elevata similitudine di tutte le condizioni al contorno, in via generale ed astratta le strutture andranno ad essere ragionevolmente simili (almeno su di un piano probabilistico: della serie, per molti ma non per tutti).
E daltronde, come scrivi tu:
UnixMan ha scritto:È viceversa evidente che, "mediamente", tutti sentiamo e vediamo (percepiamo) le stesse cose (fisiche) all'incirca allo stesso modo.
"Sfortunatamente" la funzione descrittiva della formazione e del funzionamento delle strutture del cervello deputate alla decodifica degli stimoli sensoriali è al momento del tutto o quasi incognita, sconosciuta, non inferibile dai dati in possesso, e questo, in aggiunta al funzionamento non lineare auto-adattativo dell'orecchio pure questo matematicamente poco noto (specie nella sua interazione col sistema nervoso centrale), esclude quasi ogni utilizzabilità pratica e diretta delle supposizioni fatte poc'anzi, e vieppiù esclude in radice la formulabilità di una correlazione tra il determinismo chimico della macchina cervello ed il determinismo del mondo fisico ad esso esterno. Ed abbiamo tralasciato le altre modalità di percezione (via endossea) per motivi di semplicità.
Nel caso più limitato, viene ad emergere quello che a me pare l'altro lato del motivo del problema "conoscibilità".
Viene posta (secondo il cd. metodo Moss, o quel che io ne ho capito) una ipotesi aggiuntiva: ovvero che, nell'atto della registrazione, l'interazione tra il campo prodotto dai musicisti e l'ambiente introduca delle variazioni particolari nel dominio del tempo nel primo (ma c'è davvero un prima ed un dopo? O è tutto "contemporaneamente"? Mi sembro nullo!), che le strutture del cervello di cui sopra interpretano come afferenti alla localizzazione spaziale ed alle modalità espressive (termine mio) del suono stesso.
Queste "modulazioni nel dominio del tempo" dei componenti del "suono" prodotto al momento della registrazione portano alla definizione del cd. "suono musicale".
Quando il "suono musicale" viene re-immesso nell'ambiente durante il processo ri-produttivo, per la stessa ipotesi in discorso l'interazione con l'ambiente va a produrre nuove e diverse variazioni dello stesso tipo.
La sovrapposizione operata dalle strutture del cervello del "suono musicale" per come registrato, e delle variazioni prodottesi ex-novo renderebbe la percezione del "suono musicale" stesso non fedele, non congruente, ma soprattutto da (
AFAIK/IIRC) luogo alla tempo-varianza in senso stretto (presumo perché in larga parte dipendente dalla unicità delle condizioni di ciascuna riproduzione: nel caso, si ricadrebbe, per certi versi nella condizione che esemplificavi prima, e cioé ciascun singolo ascolto non è mai esattamente identico ad un certo modello di se stesso).
Per il cd. metodo Moss dunque il concetto di "alta fedeltà" sarebbe da intendersi come "fedeltà" al campo come registrato (a prescindere anche dal problema della sua eventuale conoscibilità/indagabilità/misurabilità), ovvero con quei "tempi di esistenza" dei "suoni musicali" e non altri, arbitrari, aggiunti/dipendenti dal sistema (sistema+ambiente) di riproduzione.
In uno scenario caratterizzato dalla inconoscibilità del meccanismo elaborativo/percettivo del cervello, della non linearità ed adattatività dell'orecchio, della non invarianza introdotta - in virtù dell'ipotesi definitoria di "suoni musicali" - dal combinato disposto ambiente-uomo, al momento una correlazione esatta o probabilistica del fenomeno è revocata in qualche puntata notturna di Star Trek (o relativo spin-off), se mi consenti un poco di leggerezza.
UnixMan ha scritto:Quindi IMHO se ne può dedurre che per ogni campo acustico dato è definibile una "percezione media" che è invariante.
Per quanto detto sopra, in via generale si può solo supporre, non essendo nota una funzione descrittiva della percezione (globalmente intesa), e non dedurre. E' ragionevole supporlo, ma allo stato relativamente incongruo pensare di potervi influire con cognizione di causa agendo solo sul lato "invariante" (il campo) del fenomeno, stante l'interdisciplinarietà dello stesso (fisica, chimica, neuroscienza, psicologia, et c.): domani non so cosa porterà la marea.
In via limitata ai cd. "suoni musicali" invece a me pare che la risposta sia un no ancora più netto, a meno di non considerare nelle ipotesi necessarie tutti gli errori astrattamente introducibili nella riproduzione.
La soluzione, nel caso limitato, non è di nuovo asserire il caos cognitivo, ma passa attraverso la minimizzazione a priori degli errori sistematici introdotti dal processo riproduttivo, cosa che credo (supposizione) sia poi quel che l'ing. Russo ha chiamato "modellizzazione a componenti perfetti".
UnixMan ha scritto:Questo implica che posso intervenire sul campo acustico per influenzare la percezione e posso definire cosa è meglio e cosa è peggio. Posso fare misure e cercare una correlazione tra i risultati di queste (i parametri fisici del campo) e tale "percezione media". Infine, posso utilizzare le conoscenze acquisite per progettare il mio sistema di riproduzione affinché sia pecettivamente migliore. Tutte cose che ovviamente non potrei fare se il sistema fose "completamente" non-invariante.
No, questo non è logico: per influenzare la percezione, l'influire sul campo fisico è solo una parte e neanche maggioritaria del problema, essendo allo stato esclusa in radice allo stato una correlazione diretta tra il determinismo fisico del campo ed il determinismo chimico del soggetto. E' vieppiù uno iato perché anche limitandosi al campo fisico, non conosco (e penso non esista) una modellizzazione, neanche ad esaustione, efficace ed omnicomprensiva del campo stesso (vedi il problema matematico del violino).
UnixMan ha scritto:Delle teorie di Moss non sono mai riuscito a vedere un compendio comprensibile e da quel poco che ho letto in giro fondamentalmente non ci ho capito un accidente.
Nemmeno io, ma non è un problema, non più per me.
UnixMan ha scritto:con "decodifica" intendevo l'intero processo di "estrazione" delle informazioni dal "segnale grezzo", processo che parte dall'orecchio e (presumibilmente) arriva fino ai processi cognitivi.
Il che è ancora peggio, pensando alla capacità auto-adattativa dell'orecchio fisico.
Scusa, capisco che non ne sappiamo nulla del cd. metodo Moss, ma almeno studiati quell'Ando che rappresenta quanto di più vicino ci sia, tra il materiale accessibile, allo stato dell'arte della scienza cd. ufficiale (almeno fino a tre anni fa): il link credo sia nella pagina precendente di questo thread.
UnixMan ha scritto:il problema in tutta questa questione IMHO è proprio questo. Se non sappiamo come le informazioni vengono elaborate, come facciamo a progettare un sistema di riproduzione? su quali basi lo progettiamo?
I dunno. O meglio, io mi tengo stretto il Radiotron (metafora), almeno non piglio la scossa e non mi fumano i trasformatori.
Il problema che poni in chiusura, "se tutto è davvero inconoscibile, siamo perduti" (ho sintetizzato), secondo me si scontra col cartesiano e sempre vero: cogito ergo sum.