MIller era un COLLEGA di Plovati, un metrologo....
Tornando al nostro signor Miller (ma chi era costui? Come ha vissuto? Per noi, tristemente, rimane un nome e niente più),
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Piergiorgio
Originariamente inviato da plovati - 21/07/2006 : 10:14:44
Fra i pionieri della radio, John Milton Miller è uno dei meno noti, sebbene il suo nome ricorra abbastanza di frequente, cioè tutte le volte che parliamo dell'effetto Miller o del teorema di Miller. Nato nella città di Hanover, Pennsylvania, Usa, Miller conseguì il dottorato in Fisica nel 1915, presso la prestigiosa università di Yale, mentre già lavorava da qualche tempo presso il National Bureau of Standards (NBS, l'ente governativo Usa che si occupa di metrologia, che oggi si chiama NIST), occupandosi di apparati radio e di tubi elettronici. Ed è proprio negli anni trascorsi al NBS, più precisamente nel 1919, che egli, studiando il funzionamento dei triodi, mise in evidenza l'effetto fisico che porta il suo nome, e spiegò perchè si verificava.
Negli anni seguenti Miller lavorò in altri laboratori di ricerca: sia nell'industria, presso la RCA Radiotron e la Atwater Kent (una fabbrica di ricevitori radio), sia nei laboratori radio della marina militare Usa., conseguendo oltre 20 brevetti nel corso della sua carriera. Fra i suoi contributi più importanti, si ricordano quelli relativi a vari circuiti oscillatori a cristallo e allo sviluppo di particolari tecniche di taglio dei cristalli di quarzo. Queste tecniche, in particolare, consentirono di ottenere cristalli con coefficiente di temperatura zero, essenziali per realizzare oscillatori a quarzo con elevata stabilità di frequenza. Sicchè nel 1953 Miller ricevette una medaglia d'onore dall'IRE (l'istituto degli ingegneri radio, Usa, che oggi si chiama IEEE) con la seguente motivazione: "In recognition of his pioneering contributions to the fundamentals of electron tube theory and measurements, to crystal controlled oscillators and to receiver development."
La storia dell'effetto Miller
I dispositivi a cui lavorava Miller, cioè i triodi, sono tubi elettronici dotati di tre elettrodi: un catodo che quando viene riscaldato emette elettroni, un anodo (o placca) che li raccoglie quando si trova a un potenziale positivo e una griglia, disposta fra catodo e anodo, il cui potenziale rispetto a quello del catodo stabilisce quanti elettroni possono raggiungere effettivamente l'anodo. In altre parole, la tensione fra griglia e catodo determina l'intensità della corrente che scorre attraverso il triodo, fra anodo e catodo: quando questa tensione è sufficientemente negativa (respingendo così verso il catodo gli elettroni, che possiedono carica negativa) la corrente s'interrompe (condizione di cutoff o di interdizione), e man mano che il suo valore si sposta dal valore di cutoff verso lo zero, la corrente attraverso il triodo aumenta gradualmente.
I triodi, usati come amplificatori o come oscillatori, funzionano (cioè amplificano oppure oscillano) soltanto fino a una frequenza massima, che è determinata, fra l'altro, dalle capacità in gioco nel circuito; in particolare, dalle capacità esistenti fra gli elettrodi dei tubi: Cgk fra griglia e catodo, Cga fra griglia e anodo, Cak fra anodo e catodo. I valori di queste capacità dipendono da come è fatto il dispositivo, ma in genere sono dell'ordine dei picofarad.
Ha importanza, per esempio, la capacità d'ingresso di un triodo amplificatore, che con la resistenza della sorgente (che può essere anche la resistenza d'uscita dello stadio precedente) determina la costante di tempo RC, il cui reciproco, diviso per 2p, rappresenta la frequenza di taglio del circuito d'ingresso: ft = 1/(2pRC). Esaminando il circuito (figura 1), sembrerebbe chiaro che la capacità d'ingresso, vista da una sorgente riferita a massa guardando verso la griglia del triodo, sia semplicemente la somma delle due capacità che si trovano in parallelo: la capacità Cgk fra griglia e catodo (supponendo per semplicità che il catodo si trovi a massa), e la capacità Cga fra griglia e anodo (supponendo che la resistenza di carico sia sufficientemente piccola, cioè che anche l'anodo si trovi a massa per il segnale). E quindi la capacità d'ingresso, anche lei, dovrebbe essere dellìordine di qualche picofarad.
E questo era proprio ciò che risultava anche a Miller quando egli eseguiva la misura di questa capacità sui suoi triodi, cioè misurando la capacità totale fra griglia e catodo, con l'anodo (non alimentato) collegato al catodo. La capacità d'ingresso, però, risultava assai maggiore, con valori di parecchie decine o anche di qualche centinaio di picofarad, quando il triodo funzionava come amplificatore, sicchè la frequenza massima di lavoro risultava molto più bassa del previsto. Con grande sofferenza di Miller, come di tutti gli altri sperimentatori che lavoravano con i triodi.
Ed proprio questo aumento anomalo della capacità d'ingresso, che si verifica quando l'anodo di un triodo viene alimentato, che costituisce quello che oggi chiamiamo effetto Miller. Il merito di Miller sta nell'aver trovato la corretta spiegazione del fenomeno
Un grazie all'amico Giovanni V. Pallottino.
Saluti
R.R.