stereosound ha scritto:Non sono entrato nel merito delle possibili architetture
Non propongo nessuna trattazione di neurofisiologia: è il modello "mentale" descritto a dire che tipo di architettura uno (è proprio il caso di dirlo) abbia in mente nel proprio ragionamento. Quando si presuppone, con probabilità vicine alla certezza, che la percezione avvenga attraverso una serializzazione di operazioni (sonda/percezione/attenzione, o attenzione/sonda/percezione, o quel che ti pare), si sta dando per presupposto una elaborazione in serie, uno dopo l'altro, e la presenza di centri di elaborazione necessari, imprescindibili, dominanti, unici... Un "sè" coeso che detta legge. Cosa che allo stato non sta certo in questi termini: quando io vedo la lettera A, quando io penso la lettera A, quando nomino la lettera A, quando odo la lettera A, si attivano diverse aree del cervello, non si attivano in serie, e quelle aree possono attivarsi contemporaneamente (ed in quest'ultimo caso a quale area attenderà la mia supposta centralizzata "attenzione"?).
Non ti chiedo di dire quel che nessuno sa, ti dico che le ipotesi e le inferenze che fai suggeriscono un concetto di cervello e di mente non aderente allo stato delle conoscenze, motivo per il quale le tue ipotesi ed inferenze mi suscitano dubbi di correttezza del ragionamento a supporto, ancora prima che di validità delle stesse ipotesi ed inferenze. Poi posso essere senz'altro in errore, ingannarmi, ma non è evitando la questione (delle architetture sottese ai ragionamenti, ipotesi, inferenze) che lo potremmo, semmai, appurare.
stereosound ha scritto:Mi sono proposto,quando ho iniziato questa discussione,come unica finalità, la valutazione delle modalità percettive nell'ascolto di ciò che comunemente si definisce "suono" e dei sui esiti (come sintesi) rispetto al fenomeno fisico che lo genera.
Peccato che per poter valutare le modalità percettive nell'ascolto del suono bisognerebbe partire, secondo me, "almeno" da una "descrizione" comprensibile e non palesemente errata di cosa sia (come funzioni) la percezione e di cosa sia la realtà che tale percezione indaga (nel caso specifico, quel suono lì), descrizioni che tu finora non hai dato, né dell'una, né dell'altra. O magari me le sono perse in questo bailamme di parole...
stereosound ha scritto:Questo è uno degli aspetti che ritengo controversi,se,come affermi,non siamo attrezzati culturalmente per poter capire come funziona questa interazione,per logica dove potremmo arrivare!? Forse non sarebbe meglio,almeno a mio avviso, accettare che c'è un "errore"( una approssimazione) anzichè provare a correggerlo senza conoscerne le modalità? Il rischio di prendere delle cantonate,come ben dici,è grande...
Mah, a me pare principalmente che tu, come tutti gli uomini (me compreso, dunque), abbia solo paura dell'ignoto, di quello che ancora non sai, anche se in ipotesi fosse proprio quello la "vera verità".
Ed in ogni caso una cantonata in più, nel casino magnum di questo discorso, che differenza fa? Sto scherzando, ovviamente (anche perché tu odi la parola "differenza", che invece nella percezione della musica riprodotta che io sappia dovrebbe avere un suo bel perché).
stereosound ha scritto:Ammettendo che le operazioni mentali,pur essendo generate dalla attività della complessa ed intrecciata rete neuronale cerebrale,abbiano carattere di "non fisicità"ci spianerebbe la strada per ulteriori valutazioni.
Altrimenti come penseresti di andare avanti: dovremmo introdurre un fattore di "fisicizzazione" del pensiero"?
Se non l'ha fatto il tuo "amico" Benedetti, et pour cause, perché dovrei farlo io? La realtà percepita, ed in generale tutte le operazioni mentali, sono appunto mentali, avvengono nella mente. Ma la descrizione di come avvengano è pure solo nella mente: come diceva Einstein ad Heisenberg, magari le teorie comprendessero solo oggetti osservabili, la realtà è che è la teoria a dirci che cosa dobbiamo osservare. Se la "tua" teoria presupponesse un sé centrale che compia operazioni l'una dopo l'altra, essa sarebbe già vincolata ad un percorso che pare irto di difficoltà (o impossibilità) interpretative, a mio avviso.
Ti faccio un esempio forzato, una battuta, ma che forse può farti riflettere: si dice che le cosiddette basse frequenze non si sentano solo con l'udito ma anche attraverso una percezione corporea. Come farebbe l'attenzione a dire al corpo, magari alla terza costola "...senti che belli 'sti 30Hz", visto che la propriocezione è inconscia? Dovremmo mettere il vincolo ulteriore che i 30Hz non li puoi "intenzionalmente" ascoltare? O cosa?
stereosound ha scritto:Mi fa piacere che hai approfondito qualche teoria inerente alla "Metodologia Operativa";avevo già anticipato qualche post fa che si dovrebbe necessariamente ricorrere alle neuroscienze (studio del sistema nervoso centrale come dice bene Giulio Benedetti) per approfondire ulteriormente la discussione senza correre il rischio di tralasciare importanti aspetti. Oltre a non essere alla mia portata (immagino che ciò detto valga anche per te) credo che il tutto si complicherebbe oltremisura.
Io non propongo un crash course per somari vogliosi di diventare ciascuno un neuroscienziato autodidatta.
Se hai letto il documento, mi pare che Benedetti proponga di rivedere, verificare, integrare alla luce delle conoscenze (almeno a livello divulgativo) sul sistema nervoso centrale quel che la SOI (o tu) va dicendo sulla mente: ed è un qualcosa che è già ben diversamente approcciabile, rispetto all'imparare un secolo di neurofisiologia e sessant'anni di neuroscienze. Inoltre, quando (sempre Benedetti) afferma che la Metodologia Operativa non ha molto da dire sulla percezione, a cominciare dall'attenzione, per quanto tale affermazione medesima sia da verificare, tale verifica non si può ridurre ad una mera espunzione (per facilitare la discussione), il negazionismo non è qualcosa che funzioni bene.
stereosound ha scritto:Benedetti è assertore dell'esistenza dell'attenzione volontaria ma non ammetterebbe,a quanto pare,la sua necessità per altre tipologie di percezione (subcosciente). Intanto questa è una supposizione ed al momento non sembra assolutamente provata. Rimane comunque la certezza che l'attenzione è necessaria per esercitare la percezione!
Alt, riprendi in mano la situazione (e, forse, il manuale di grammatica italiana): "la supposizione non sembra provata e comunque rimane la certezza della necessarietà dell'attenzione"? La *tua* asserzione (ammesso che io l'abbia ricostruita/sintetizzata correttamente) non torna già a livello logico-grammaticale (quel "comunque" è una bella gatta da pelare...), ma soprattutto, visto che dici di non saperne nulla di cervello, non capisco in base a cosa ti sovvenga da dire che non sia provata... bah, mistero. Inoltre, nel tuo sunto esegetico, aiuterebbe un riferimento, una citazione, perché mi sembra di aver letto un altro Benedetti, quello che sostiene l'evidenza dell'attenzione nella sola percezione volontaria (che immagino sia dirsi qualcosa tipo "voglio percepire quella cosa lì, qui ed ora", una proposizione che in percentuale mi pare piuttosto rara a verificarsi nelle 24 ore di una giornata).
stereosound ha scritto:stereosound ha scritto:L’attività di pensiero,con gli schemi che acquisirà ,permetterà una comparazione tra i percepiti e la memoria così costruita , producendo, poi, le sintesi.
La frase:
con gli schemi che acquisirà è la risposta più giusta per far riferimento ai modelli di cui parlavo. Tale processo di acquisizione è lento e mutevole ( cioè tende ad evolvere)finchè non tenderà a stabilizzarsi diventando quindi uno schema consolidato o modello "invariante" nel tempo. Anche qui potresti obbiettare volendo ( si da per scontato che una persona raggiunta la maturità cambi i propri schemi interpretativi ormai radicati?..non credo). Al limite il modello può essere arricchito ma non sostituito! Negli schemi rientrano anche i percepiti acquisiti (dopo una una certa età) come modelli i quali diventano poi elementi di confronto e valutazione nelle correlazioni.
La percezione è guidata (in parte) dall'esperienza. Ma il risultato non è né dato, né stabile, neanche dopo un congruo tempo.
Non è che perché attingo alla memoria, questa sia "fuori dal tempo". Da dove gli viene questa "qualità"?
Già la percezione (e suppongo la stragrande maggioranza dei processi mentali) è non invariante rispetto al tempo: detto diversamente, se il sistema di percezione umano fosse una "macchina" la cd. risposta all'impulso di tale meccanismo sarebbe sempre diversa, qualunque siano gli istanti t1 e t2 considerati, e la percezione al tempo t influenza, modifica la percezione al tempo t+1.
Il "giudizio" (è questa la sintesi? O sono le valutazioni? O le correlazioni? Insomma, lo capisci che c'è necessità di un abstract da parte tua) che viene dato dalla o sulla percezione poi non è libero: ci sono vincoli che inconsciamente la percezione deve rispettare a prescindere dall'esperienza del singolo, dei parametri di congruità, in parte certamente riferibili all'esperienza evolutiva.
Come ho tentato sinteticamente di illustrare nella comparazione tra luminanza (oggettiva) e brillanza (percepita) di un oggetto, il confronto (mentale) tra oggetti diversi in contesti diversi, a parità di luminanza, produrrà una brillanza percepita diversa. Da dove viene la diversità? Dove sta l'utilità di pensare ad una memoria "fuori dal tempo"? O forse è solo un problema terminologico? Ancora, se non un abstract, magari un glossario, un vocabolario per "aspirante piccolo costruttivista italiano" aiuterebbe. Magari.
Infine, quanto all'età della maturità ed ai suoi "svantaggi", le ricerche delle neuroscienze di oggi ci dicono che se è vero che non tutto può essere imparato, nondimento esercitarsi ci migliora sempre a qualsiasi età (una cosa incredibile: l'esercizio modifica i nostri neuroni!
).
stereosound ha scritto:Se conosci effettivamente la barca (generica) la riconosci solo dallo scafo in quanto associ lo stesso scafo ad una generica barca(già conosciuta in memoria). La percezione però deve essere almeno ripetuta un'altra volta per attuare una verifica di riconoscimento(questo avviene velocemente ed automaticamente).E' anche possibile che non bastino due singole percezioni per il necessario e sufficiente riconoscimento.
Se non la riconosci, invece,pur conoscendola,devi operare necessariamente più percezioni finchè non avviene il riconoscimento
Ecco, ti prego di perdonarmi, ma se provi a spiegarmi questa necessaria ripetizione, con un po' di particolari in più e parole diverse, te ne sarei grato: d'acchito, a senso, leggendoti, non mi figuro la necessità di una o più verifiche nel processo e, se sono necessarie, da che cosa risultino.
Per provare ad esemplificare: se io volessi imparare l'argomento di un testo, per "saperlo" non mi basterebbe leggere quel testo una volta sola (ed essendo somaro, a volte neanche quattro), in pratica "verifico"/"confronto" più volte le informazioni apprese attraverso una o più riletture delle parole che le veicolano. Ma se io vedo una tigre, "lo so" che ho visto una tigre, anche nel caso in cui io non sappia che si chiami tigre. Quante volte nell'unità di tempo devo "rivedere" la tigre? E che cosa ci rende coscienti dell'effettivo verificarsi di questo "rivedere"?